Splendida è stata la risposta , anche se in un contesto diverso, che ha dato Simon Benetton, a una domanda specifica posta da un suo intervistatore.
Paolo Levi ha chiesto a Simon il perché delle scelte di colore così precise nelle sue sculture, la risposta è stata lapidaria: “Quando un lavoro in ferro si confronta con lo spazio, il colore risulta necessario, perché permette di riportarlo a un preciso rapporto con ciò che lo circonda, permettendone una lettura più agevole”.
Lo studio dei colori per dipingere l’insegna, e proteggerla dagli agenti atmosferici, si è trasformato subito in un aspro litigio con i due consulenti che mi ero scelto per prendere questa decisione.
Non essendo in grado, mancandomi la capacità, il buon gusto,la competenza e l’intelligenza di fare una scelta adeguata per i colori, ho cercato due persone che avessero una grande esperienza nel settore.
La scelta è caduta su un pittore di chiara fama, Gianni Dri, tra l’altro l’unico che può vantare un numero incredibilmente alto di insegne dipinte, al giorno d’oggi non è facile trovare professionisti di tale levatura.
L’altro tecnico è un architetto, Domenico Felice che passa la vita a spiegare agli altri come dipingere interni ed esterni, le sue scelte cromatiche sono visibili in migliaia di opere eseguite in Friuli e non solo.
Avrei voluto anche altri consulenti in materia, ma ho capito fin da subito quanto l’argomento fosse controverso.
Ambedue questi professionisti conoscono molto bene la storia dell’arte, e delle tante teorie sui colori sulle quali abbiamo meditato (alcune veramente molto complesse) quella tenuta più in considerazione è la teoria fisica del colore elaborata da Itten, Klee e Kandinskij.
Un capitolo a se stante è costituito dal tempo che abbiamo dedicato all’influenza psicologica percettiva dei colori, di aiuto è stato il libro, arte come mestiere di Bruno Munari, uno dei pochi libri che chiunque abbia a che fare, anche alla lontana, con l’arte, conosce a memoria. |